Implicazioni Giuridiche dei Termini nelle Disposizioni Testamentarie
L'apposizione di un termine, sia esso iniziale o finale, all'istituzione di un erede è considerata nulla. Tuttavia, questa nullità non compromette la validità dell'attribuzione ereditaria stessa, a meno che la presenza del termine non rappresenti l'unico motivo determinante per la disposizione testamentaria. In tale circostanza, si rende applicabile l'articolo 626 del codice civile, seguendo l'interpretazione fornita da eminenti studiosi del diritto ereditario.
Nel contesto di una doppia istituzione ereditaria, una con termine finale e l'altra successiva con termine iniziale, la dottrina concorda sul fatto che, a seguito della caducazione di entrambi i termini, le due istituzioni si fondono in un'unica chiamata congiuntiva degli eredi, assegnando loro la stessa quota in parti uguali o, secondo alcune opinioni, nella proporzione intesa dal testatore, mirando a stabilire un equilibrio temporale significativo nella titolarità dell'eredità. Questa fusione delle chiamate deve però evitare di cadere in violazione del divieto di sostituzione fedecommissaria, specialmente se il termine finale della prima istituzione coincide con il decesso dell'istituito, circostanza in cui la seconda istituzione verrebbe considerata nulla ai sensi dell'articolo 692 del codice civile.
Per quanto riguarda l'apposizione di un termine impossibile (riferito a un evento già avvenuto) o illecito (in contrasto con norme imperative, l'ordine pubblico o il buon costume) a un legato, la prassi prevalente suggerisce di applicare, per analogia, la normativa prevista per le condizioni e i modi, come delineato negli articoli 634, 626 e 647 del codice civile. Questa interpretazione, sostenuta da autorevoli figure nel campo del diritto delle successioni, riflette il principio del favor legis, volto a preservare l'integrità e la coerenza dell'ordinamento giuridico testamentario.